Gianluca Vialli e il tumore: “Sto bene, ma non so come finirà”

Per la prima volta ne ha parlato in pubblico. Gianluca Vialli, il cancro e la sua malattia. Sino ad ora nulla era trapelato, anche se le sue apparizioni a Sky Sport si facevano sempre più di rado. Gianluca Vialli ha rilasciato una lunga intervista per Il Corriere della Sera e qui si è confessato. Parlando di se stesso a 360°. Dall’inizio della carriera alla Cremonese, alla Sampdoria con Mancini “un fratello”. Poi i racconti sulle vittorie nella Juventus, e il passaggio sulla malattia e le attuali condizioni fisiche.
Vialli racconta del tumore e della malattia
Come detto il passaggio più toccante della sua intervista, arriva quando parla del tumore e della malattia. “Ne avrei fatto volentieri a meno. Ma non è stato possibile. E allora l’ho considerata semplicemente una fase della mia vita che andava vissuta con coraggio e dalla quale imparare qualcosa. Sapevo che era duro e difficile doverlo dire agli altri, alla mia famiglia. Non vorresti mai far soffrire le persone che ti vogliono bene: i miei genitori, i miei fratelli e mia sorella, mia moglie Cathryn, le nostre bambine Olivia e Sofia. E ti prende come un senso di vergogna, come se quel che ti è successo fosse colpa tua. Giravo con un maglione sotto la camicia, perché gli altri non si accorgessero di nulla, per essere ancora il Vialli che conoscevano. Poi ho deciso di raccontare la mia storia e metterla nel libro”.
Ora Vialli sta bene, doopo aver superato intervento chirurgico, chemioterapia e radioterapia: “Sto bene, anzi molto bene. È passato un anno e sono tornato ad avere un fisico bestiale (Vialli ride). Ma non ho ancora la certezza di come finirà la partita. Spero che la mia storia possa servire a ispirare le persone che si trovano all’incrocio determinante della vita. E spero che il mio sia un libro da tenere sul comodino, di cui leggere una o due storie prima di addormentarsi o al mattino appena svegli. Un’altra frase chiave, di quelle che durante la cura mi appuntavo sui post-it gialli appesi al muro, è questa: “Noi siamo il prodotto dei nostri pensieri”. L’importante non è vincere; è pensare in modo vincente. La vita è fatta per il 10 per cento di quel che ci succede, e per il 90 per cento di come lo affrontiamo. Spero che la mia storia possa aiutare altri ad affrontare nel modo giusto quel che accade”.
Vialli, la Sampdoria e la Juventus
Sempre nel corso dell’intervista, Vialli ha ripercorso il suo passato, partendo dai tempi d’oro della Sampdoria. “Il presidente Mantovani mi spiegò il progetto della Samp. Che poteva aspettarmi. Crescemmo passo a passo. La coppa Italia. La finale di Coppa delle Coppe, persa. La finale di Coppa delle Coppe, vinta. E poi il 1991, l’anno dell’impresa. Ogni volta Mantovani mi chiamava in ufficio, e mi spiegava la sua missione: sfidare lo status quo, ribaltare le gerarchie del calcio. Quando uscivo mi pareva di camminare sulle acque. Ero innamorato di lui, della squadra, dell’ambiente. Rapporto con Mancini? Fratelli. Quando hai la stessa età e hai condiviso per tanti anni il campo di battaglia, puoi stare molto tempo senza sentirti, ma il rapporto rimane per sempre”.
Sulla Juventus, i successi e le accuse: “Giocare nella Juve è un onore, e un onere. Senti il peso della maglia, il dovere di riconsegnarla piegandola per bene e riponendola un po’ più in alto di dove l’avevi presa. E poi Torino, che aveva fama di città fredda e grigia, in realtà è meravigliosa. Favoriti dagli arbitri? No. Ne ho anche discusso con i colleghi. Vede, un calciatore tende sempre a pensare che gli arbitri stiano complottando contro la sua squadra. A volte diventa uno sprone a reagire e dare il meglio. Accuse doping? Posso parlare per me. Avrei potuto vivere più serenamente quella vicenda, come altri colleghi. Non ce l’ho fatta. Fu un’ingiustizia. possibile discutere se sia meglio per una distorsione dare il Voltaren, o andare 15 giorni in montagna a riposare. Non è possibile mettere in dubbio i risultati di una carriera. All’inizio ci ho sofferto. Poi ho capito che se ti preoccupi di quello che pensano gli altri appartieni a loro”.